Descrizione
Dicono che in famiglia tutti si lamentassero dell’avarizia di Pericle, ma che al contrario gli Ateniesi gli fossero ben grati quando esponeva loro con precisione – con acribia si comincia a dire – i rendiconti delle spese di denaro pubblico per una guerra o un monumento o un’impresa di conquista. Moneta e trasparenza, gloria futura e investimenti attuali, democrazia ed esattezza: un saggio brillante per scrittura e competenza ci racconta in modo nuovo le strategie economiche di chi inventò ad un tempo la bellezza e la «cosa pubblica».
«I Greci dei tempi di Pericle», scrive Giovanni Marginesu parlando del V secolo a. C., «resero l’uso del denaro qualcosa di molto simile a un’arte, informandolo a principî improntati ad alcune leggi elementari e a una buona dose di etica e di estetica condivise». E poi il saggio cede il passo al racconto, parlandoci di come fosse famosa l’avarizia di Pericle, malvista in casa, ma molto gradita nelle occasioni pubbliche in cui si trattava di soldi pubblici, e di come acribia e democrazia, quando la prima significava estrema e fredda precisione e la seconda caldo sentimento etico, andassero a braccetto nella polis prima fra tutte, Atene, nell’epoca d’oro dell’arte, della letteratura, della potenza e della civiltà. Marginesu lavora da archeologo su frammenti e stele per narrarci la storia dei rendiconti greci, che venivano incisi con raffinata maestria sulla pietra ed esposti, in città e sull’acropoli, a uno sguardo quasi «ossessionato» dalla contabilità, in quanto gli Ateniesi erano ben consci di come fossero la «preziosa radiografia» del loro mondo.